Il progetto di modernizzazione dell’Istat, presentato al personale sulla Intranet dell’Istituto il 5 dicembre 2014, è in tutta evidenza in grande difficoltà.
Ricordiamo che annunciava una trasformazione radicale del ciclo di produzione, dell’organizzazione del lavoro e della gestione delle risorse umane e finanziarie dell’Istituto, generando aspettative e interrogativi tra tutto il personale e grandi preoccupazioni nell'alta dirigenza, cui veniva consegnata una promessa di taglio sostanzioso. Si annunciava l’avvento di una “visione differente del processo di produzione statistica”.
Ad oggi ciò che è certo è un rinvio di 6 mesi, a causa della mancata nomina dei membri del consiglio di scelta governativa, che ha come conseguenza una grande incertezza nel personale, che non ha idea di quale sarà il proprio futuro lavorativo e da oggi ha anche dubbi sulla propria sede di lavoro.
La perdurante assenza in seno al Consiglio dei Ministri della nomina dei componenti mancanti del Consiglio Istat deve essere letta insieme alle varie dichiarazioni pubbliche di esponenti del governo e della sua maggioranza parlamentare contro l'attendibilità dei dati Istat e in particolare alla polemica degli ultimi mesi intorno ai dati sull'occupazione. A nostro avviso è evidente che il progetto di riorganizzazione dell'Istat è in difficoltà perché siamo di fronte ad una statistica pubblica che compie il proprio dovere di informazione nei confronti dei cittadini e per questo viene mal digerita e vista in una certa misura come un fastidio dalla politica.
In questa situazione difficile verso l'esterno e forse non facile neanche verso l'interno, ci si sarebbe aspettati che il presidente mettesse al centro della propria agenda e delle proprie "alleanze", l'unica leva per realizzare una riorganizzazione della natura annunciata, cioè i lavoratori dell'istituto. Ciò cui siamo di fronte è invece un presidente che sembra avere preso la strada delle politiche antisindacali, con l'apertura di una guerra alle organizzazioni rappresentative dei lavoratori.
A questo proposito non è un caso l'incredibile circostanza per cui le organizzazioni sindacali non hanno avuto finora il minimo coinvolgimento. Eppure la Flc Cgil su questo tema aveva scritto e chiesto un incontro al prof. Alleva fin dal suo insediamento. Una delle conseguenze di questa scelta è l'acuirsi dell'assurdo iato tra l'impatto (annunciato) che avrà sul protagonista del riordino, il personale, e la totale assenza di confronto e informazione verso la stragrande maggioranza dei lavoratori. Anche da un punto di vista tecnico, il processo di costruzione del disegno riorganizzativo benché concepito in forma partecipata con appuntamenti seminariali e una procedura di ascolto di esperti interni, non ha avuto momenti di feedback verso i "partecipanti" e di reale coinvolgimento nelle sintesi decisionali.
Sembra davvero una inconciliabile contraddizione il fatto che ogni giorno al personale sono offerte occasioni di demotivazione, a cominciare dalla vertenza sul personale IV-VIII, alla cui crescente mobilitazione sono fornite risposte evasive e azioni intimidatorie; per continuare con una politica delle sedi gestita finora secondo la logica dell’emergenza (da ultimo con il trasferimento dei lavoratori di Piazza Indipendenza); o ancora con la gestione a dir poco offensiva di altre questioni della quotidianità come ad esempio la liquidazione delle pratiche di missione, che perdura incurante delle richieste di trasparenza che provengono dai lavoratori. Quando si tratta di andare incontro alle esigenze dei lavoratori, come nel caso del telelavoro o dei rimborsi dell’assistenziale, l’amministrazione continua a mostrarsi sorda e elefantiaca nei processi decisionali.
Sia chiaro che non sarà sufficiente ripetere a se stessi che va tutto bene, questa riorganizzazione è destinata a fallire se non rappresenterà innanzitutto uno strumento utile per risolvere problemi aperti come lo sviluppo professionale e di carriera del personale, la stabilizzazione dei precari, la mobilità del personale, la razionalizzazione della dirigenza tecnica e il freno all'invasione di quella amministrativa, il ruolo degli uffici territoriali, la re-internalizzazione di processi cruciali per la qualità delle statistiche. Lo avevamo scritto nel primo documento senza risposta, inviato all'insediamento del prof. Alleva. Serve rimettere al centro delle condizioni materiali prima che della cultura il ruolo dei ricercatori rispetto al processo di produzione del dato e la loro autonomia e per questa via restituire libertà e responsabilità a tutto il personale dell'Istituto. Il rigurgito di autoritarismo verso il personale e di rinnovato gregarismo nella dirigenza apparsi con l'arrivo del nuovo Direttore generale non sembrano affatto andare in questa direzione. Ancor meno il recinto strettissimo dentro il quale il presidente ha deciso di posizionarsi per governare l'Istituto. Come scritto in varie occasioni per noi è prioritario un processo che davvero rivoluzioni l’organizzazione interna dell’ente e la sua mentalità.
Su tutti questi punti e altri ancora è necessario coinvolgere realmente i lavoratori in un processo di ascolto che appare ad oggi del tutto assente.