Giovedì 3 giugno si è riunito l’organismo paritetico per l’innovazione (OPI) dell’Istat, integrato per l’occasione, da parte sindacale, di ulteriori 2 membri per sigla, e per l’amministrazione dal Direttore generale e dalla Direttrice del DIRM, nonché delegata del presidente per la contrattazione integrativa, dottoressa Buratta. All’ordine del giorno il disegno organizzativo dell’Istat sul territorio.
Il direttore generale Camisasca ha presentato le slide inviate ai membri dell’organismo paritetico.
Le slide riepilogano i “passi compiuti” (slide 2) finora nel percorso di ragionamento sulla riorganizzazione della rete territoriale dell’Istat, nonché le questioni emerse dal confronto, in particolare con i lavoratori degli uffici territoriali (slide 3).
Si passa quindi a una serie di “proposte e ambiti di intervento” conseguenti ad alcuni degli input ricevuti (slide 4) e infine a 3 possibili “scenari organizzativi” (slide 5).
I tre modelli proposti sono uno “territoriale” (A), uno “tematico” (B) e uno “misto tematico-territoriale” (C).
Nel nostro intervento abbiamo chiarito che le questioni elencate nella slide 3 coincidono in larga parte con quelle segnalate dalla FLC CGIL, da ultimo con il documento di analisi e proposte inviato un mese fa.
Alcuni punti rilevanti dovrebbero anzi essere citati come gli obiettivi di una eventuale riorganizzazione:
Questa lista, per quanto non del tutto esaustiva, è certamente condivisa e dimostra quindi l’utilità degli incontri tenuti dal direttore generale direttamente con il personale (oltre al confronto sindacale). Facendo una comparazione tra le proposte conclusive del documento della FLC CGIL e gli “spunti” della slide 3, c’è quasi tutto. Manca per esempio un riferimento alla formazione, che è un punto invece centrale, come abbiamo evidenziato nel nostro documento.
Gli spunti della slide 3 non si traducono però nella slide successiva in un complesso di interventi in linea con tutte le necessità esplicitate.
Sono comunque positive alcune proposte avanzate, come il “mantenimento della polifunzionalità della rete territoriale”, la “formalizzazione della funzione di analisi del fabbisogno informativo locale e valorizzazione delle analisi dei fenomeni territoriali”, l’”avvio di procedure di reclutamento ad hoc per gli UU.TT (tramite mobilità volontaria e selezioni pubbliche), formalizzate nel Piano di fabbisogno”, e il “riconoscimento del ruolo del «referente di sede» territoriale (previsione indennità, ecc.)”.
E’ poi importantissimo quanto si legge nella slide rispetto alla “condivisione degli obiettivi del progetto di riorganizzazione con il personale – confronto nelle scelte per l’assegnazione di funzioni/attività”.
È un punto sul quale abbiamo insistito più volte: il rischio di replicare il modello “calato dall’alto” della modernizzazione di 5 anni fa è altissimo. Le modalità concrete con le quali si costruisce la “riorganizzazione” sono più importanti dei modelli teorici.
Quando però si passa alla esplicitazione dei 3 “modelli” organizzativi non rintracciamo la coerenza con le questioni emerse e nemmeno con le soluzioni prospettate.
Nessuno dei tre modelli di per sé appare garantire un miglioramento nella direzione auspicata.
Il modello A, apparentemente “conservativo”, ipotizza il ripristino di una “struttura centrale” ad oggi impossibile, visto che tutte le poltrone previste dalla norma sono occupate, e prevede come unico cambiamento organizzativo l’“attribuzione di funzioni tematiche ai singoli UU.TT (formalizzata all’interno delle delibere organizzative)”, cosa che in qualche modo già avviene e che - se formalizzata negli atti organizzativi - appare anche eccessiva: perché un ufficio territoriale dovrebbe occuparsi principalmente di un tema? Questo disegno rischia di istituzionalizzare un forte affievolimento del legame tra territorio e statistica, semplicemente dislocando le attività statistiche sui singoli temi, come se gli “uffici territoriali” fossero delle sedi dell’Istat come quelle presenti a Roma. Il pregio di questo modello è di essere meno “traumatico” rispetto al presente, ma non risponderebbe - se non accompagnato da altre misure - alle questioni enunciate nelle slide precedenti.
Il modello B, apparentemente il più “rivoluzionario”, porterebbe al superamento del concetto stesso di ufficio territoriale, e infatti richiederebbe la riscrittura dello Statuto e del Regolamento (nonché - probabilmente - dello stesso Dlgs. 322/89): tutte le strutture dirigenziali diventerebbero “tematiche”, così come i lavoratori, che sarebbero quindi completamente slegati dalla sede di appartenenza. Apparentemente questo modello garantirebbe maggiore “libertà” e equiparazione dei lavoratori “territoriali” a quelli “centrali”, ma rischia di mettere in discussione il fatto stesso che esistano uffici sul territorio (e il loro valore), cosa che riteniamo sbagliata e che smentisce la gran parte delle premesse sul ruolo dei rapporti con gli enti del Sistan, le analisi territoriali, la promozione delle cultura statistica sul territorio, ecc. Se si deve procedere a un cambiamento dello Statuto, la nostra proposta è anzi quella di stabilire più chiaramente la necessità di una presenza sul territorio di ciascuna regione italiana con almeno una sede dell’Istat.
Il modello C, quello misto, è probabilmente quello più difficile da gestire concretamente, perché creerebbe, in ogni ufficio, una possibile spaccatura tra i lavoratori, dipendenti da strutture diverse (in alcuni casi territoriali, in altre “centrali”) e richiederebbe quindi uno sforzo di costruzione maggiore, anche impiegando più tempo per la sua costruzione. Ha il pregio di essere compatibile con l’attuale normativa interna, ed è quello che più necessita di misure “a corredo” per dimostrare di andare incontro alla sfide per una vera valorizzazione dei lavoratori della rete territoriale dell’Istat. Dovrebbe comunque garantire una notevole flessibilità, permettendo di lavorare in parallelo (in percentuale) per diverse strutture, anche per mantenere i vantaggi della trasversalità di competenze e della polifunzionalità degli uffici, pur evidenziate nelle stesse slide. Peraltro il modello misto prevederebbe un nuovo (ennesimo) accorpamento degli uffici, senza che sia esplicitato un qualsiasi criterio, geografico o socio-economico.
Abbiamo quindi proposto che - a prescindere dal modello prescelto - si proceda a una definizione di obiettivi concreti, da valutare dopo un tempo prefissato: per una volta chiediamo che l’Istat attui una riorganizzazione che sia spiegata e che le ipotesi siano verificate dopo un tempo congruo, per capire se ci sarà o meno da aggiustare il tiro. Paradossalmente questo impegno contribuirebbe alla stabilità nel tempo del modello organizzativo, altrimenti semplicemente in balia dei prossimi cambi presidenziali e dirigenziali.
Nel momento in cui si approvasse uno dei tre modelli, il Consiglio dovrebbe inoltre decidere una serie di misure immediate: un congruo numero di posti destinati alla rete territoriale dell’Istat nei concorsi pubblici che saranno banditi a breve, un impegno concreto per il pagamento di un’indennità ai referenti di sede (ad esempio integrando la IOS per tutti come chiediamo da tempo, utilizzando anche l’art. 4 c. 3 e l’art. 9 c. 3 del CCNL 2000-2001 e quindi una parte di risorse aggiuntive per questo; ma ci sono anche altre strade, come l’indennità prevista per i funzionari di amministrazione dall’art. 46 del CCNL 1994-1997, o l’indennità ex art. 9 del CCNL 1994-1997 di ricercatori e tecnologi...), un percorso partecipato per l’assegnazione del personale alle nuove strutture (tematiche o territoriali).
Per un coinvolgimento concreto del personale abbiamo proposto di procedere - parallelamente con la ricerca dei dirigenti - a una call aperta a tutti/e per le nuove “strutture” territoriali e/o tematiche, in modo che si apra una vera fase di “negoziazione” e non una semplice assegnazione/spartizione delle risorse fra i dirigenti.
In conclusione, serve un tempo congruo per attuare un processo di cambiamento, le cui modalità sono più importanti del modello prescelto. Per questo riteniamo che il Consiglio debba procedere con cautela. Va peraltro considerato che da qui a fine anno si svolgeranno le operazioni censuarie, che coinvolgono la maggior parte dei colleghi degli uffici territoriali, già inseriti nelle attività di RIT, di formazione e di monitoraggio della rilevazione. E’ vero che i censimenti sono permanenti, ma quest’anno l’impegno sarà doppio rispetto agli anni scorsi (visto che occorre “recuperare” la rilevazione che a causa della pandemia nel 2020 non si è svolta), e il 2021 sarà probabilmente l’ultimo con un’attività così ampia sul campo, essendo l’ultimo anno del primo ciclo del censimento permanente della popolazione.