L’Istituto in questi giorni si accinge a prendere, ancora una volta, decisioni rilevanti in merito alle sue sedi. Abbiamo perciò ritenuto importante ricapitolare alcune osservazioni e ragionamenti, in rappresentanza delle esigenze e del benessere del personale, scrivendo una nota articolata all'amministrazione.
Riteniamo che l’argomento delle sedi debba essere trattato in maniera seria, uscendo da una logica di gestione basata esclusivamente sull’emergenza e sui risparmi: concetti peraltro entrambi sottoposti a criteri discrezionali e variabili.
Il progetto presentato nel 2015 dal presidente Alleva prevedeva due fasi.
La prima era una razionalizzazione delle sedi romane ovvero la chiusura di alcune locazioni passive e la concentrazione di una parte rilevante del personale nel polo centrale: la produzione doveva essere allocata nelle sedi periferiche, mentre al centro dovevano essere collocate le strutture trasversali.
La seconda fase prevedeva il passaggio alla sede unica a Pietralata, in continuità e a completamento dell’obiettivo di unificare il personale in un unico polo: le organizzazioni sindacali non sono state mai ascoltate su questa scelta.
Per mere questioni di risparmio sono state sostituite anche alcune sedi regionali il cui affitto risultava particolarmente costoso (Firenze, Napoli, Campobasso, Cagliari, Perugia).
Il piano è stato sostanzialmente realizzato (a meno di alcune eccezioni), con la chiusura delle sedi di Piazza Indipendenza e Via Torino e la contemporanea acquisizione della sede di Via Balbo 39. E’ stata inoltre chiusa la sede di viale Oceano Pacifico, acquisendo quella, più piccola, di Piazza Marconi.
Ad oggi è allocato nelle sedi del polo centrale il 60% dei dipendenti delle sedi romane e il 51% di tutti i lavoratori dell’Istat. A gennaio 2015 le percentuali erano rispettivamente il 44 e il 38.
In tutti i piani presentati e approvati negli scorsi anni la locazione della sede di via Depretis 77, molto comoda per la sua collocazione nelle immediate vicinanze della sede di via Balbo, è stata confermata, attraverso proroghe del contratto di locazione.
Durante il 2015 è stato richiesto e accordato dalla proprietà uno “sconto” sull’affitto previsto dalla legge .
Nel 2016, la proprietà aveva espresso la sua disponibilità alla sottoscrizione di un nuovo contratto di locazione, e iniziato a predisporre i documenti per consentire la formalizzazione dell’istanza di nulla osta alla stipula da parte dell’Agenzia del demanio .
Nonostante l’evidente necessità di lavori di ristrutturazione, lo scorso autunno l’amministrazione e i dirigenti dell’Istituto hanno rassicurato in via ufficiale i dipendenti della sede sulla stabilità e sicurezza dell’edificio.
A ottobre 2018 l’Istituto ha esperito comunque una ricerca di sede nei dintorni della stazione Termini, senza successo: si trattava di un bando mirato, con criteri molto stretti.
Fino a febbraio di quest’anno, negli incontri ufficiali, l’amministrazione ha prospettato ai lavoratori un ritorno nella sede dopo i lavori di ristrutturazione.
Il 18 marzo, senza che esistesse alcuna concreta novità, è stata prospettata al Consiglio la decisione di chiudere definitivamente la locazione (in prorogatio da anni), trasferendo i lavoratori a via Tuscolana.
Il 2 aprile, secondo quanto appreso al tavolo sindacale, la proprietà (il CIR) ha comunicato all’Istat l’intenzione di partire finalmente con i lavori di ristrutturazione dal 1° agosto di quest’anno chiedendo di liberare la sede per quella data. Perché la proprietà si è premurata di avvisare l’Istat sulla data di inizio dei lavori, se il contratto era naturalmente in scadenza il 30 giugno 2019? E perché una parte dell’Istat aveva pensato di abbandonare la sede, facendo retromarcia rispetto alle decisioni prese fino ad allora, senza che fosse intervenuto alcun nuovo elemento?
Come già espresso in numerose altre sedi, ribadiamo che lasciare la sede di via Depretis 77 definitivamente e senza un’alternativa in centro sarebbe una scelta miope e contraddittoria rispetto alle decisioni prese negli ultimi anni. Diminuirebbe infatti la quantità di lavoratori nel “polo centrale”, rendendo più difficoltosi gli spostamenti e i rapporti di lavoro fra strutture. Inoltre, qualora fossero i lavoratori ad oggi al CIR ad essere spostati, si provocherebbe un problema organizzativo di non poco conto.
La gran parte del personale che oggi è assegnato alla sede di via Depretis 77 ha inoltre già subito un doppio spostamento: da Balbo a Tuscolana nel 2013, sempre per emergenze dovute alla sicurezza di una sede, quindi da Tuscolana al polo centrale in seguito alla “modernizzazione”.
Comprimere i lavoratori nelle restanti sedi renderebbe molto complicato qualsiasi intervento futuro di riorganizzazione, non potendo spostare neanche temporaneamente alcune decine di lavoratori. Diventerebbe impossibile ad esempio affrontare lavori di ristrutturazione in una qualsiasi delle altre sedi: e già ne sono previsti vari nel futuro prossimo a viale Liegi, Balbo 16 e Depretis 74! Senza contare che nelle sedi di Tuscolana e via Balbo 39 proprio in questi giorni si stanno verificando problemi di non poco conto.
Mantenere una sede al centro servirebbe anche ad accogliere nuovo personale, oltre a rendere più agevole l’attività di quello oggi presente. La decisione di riempire una sede comprimendo i lavoratori, anche nel rispetto delle norme di legge, crea problemi in termini di servizi e di benessere dei lavoratori.
Qualora venisse “riempita” la sede di Tuscolana, riemergerebbero i problemi sulla mancanza di parcheggio, a fronte dei lavori di ampliamento decisi solo pochi mesi fa! Anche la mensa e i bagni risulterebbero inadeguati.
La sede di piazza Marconi – nella quale sono allocati più di 200 lavoratori – ha evidenti problemi, come riconosciuto ampiamente anche dall’amministrazione .
Ci sono numerose stanze senza aria diretta, e molte di esse sono poco vivibili a causa di un continuo rumore di fondo dovuto ai motori dei condizionatori di tutta la sede. L’impianto di condizionamento non è adeguato ed è difficile gestire correttamente il microclima, e l’unica aula riunioni - senza finestre - contiene a malapena 20-30 persone in piedi. Inoltre la sede manca di un punto di ristoro interno, circostanza che penalizza i dipendenti rispetto a quelli delle altre sedi.
Da tempo chiediamo interventi che possano risolvere i diversi problemi. Una soluzione alla mancanza di un punto di ristoro interno potrebbe arrivare dalla locazione degli spazi al pian terreno e della cosiddetta “sala delle colonne”. Questo permetterebbe di risolvere anche un altro importante problema dell’intero Istituto: la mancanza di uno spazio sufficientemente capiente per incontri, riunioni, assemblee sindacali, soprattutto in vista dei lavori che interesseranno l’aula magna di via Balbo 16.
In assenza di una sala ristoro all’interno della sede di piazza Marconi, vi è un’unica alternativa che possa alleviare i problemi del personale della sede, ovvero quella di dare attuazione al regolamento sull’orario di lavoro, consentendo ai dipendenti, di usufruire di un codice ad hoc, già previsto nel regolamento come “260” e già concesso in passato, per raggiungere i posti più vicini all’esterno dove pranzare. La stessa soluzione dovrebbe essere prevista per gli uffici territoriali, soprattutto in quelli dove non è presente un adeguato spazio per consumare i pasti.
Di fatto la razionalizzazione delle sedi romane dell’Istat è stata possibile soprattutto grazie alla contrazione del personale. Negli ultimi 4 anni si sono “perse” circa 150 persone, attraverso cessazioni non compensate da assunzioni, tutte nelle sedi romane. Riteniamo che ci sia bisogno di rafforzare l’Istituto con numerose assunzioni.
La prima necessità è di utilizzare immediatamente le graduatorie esistenti al VI livello (su 4 profili), consentendo di immettere in breve tempo nuovo personale, senza attendere l’espletamento di nuovi concorsi. L’urgenza è data, d’altra parte, dal fatto che la legge di bilancio 2019 ha prorogato la possibilità di utilizzo di quelle graduatorie fino a settembre di quest’anno, pur condizionando le assunzioni a un corso e a una prova di valutazione del permanere della professionalità richiesta.
Sui profili I-III, crediamo sia necessario predisporre un piano che parta dallo scorrimento delle graduatorie esistenti, comprese quelle art. 15, per poi bandire nuovi concorsi solo al livello base (III) e procedure art. 15 per il I e II livello.
Contemporaneamente vanno programmati concorsi ai livelli base dei profili tecnico-amministrativi, per sopperire al turnover nei prossimi anni. Deve invece interrompersi la scelta dell’Istituto di stipulare convenzioni Consip milionarie per “servizi” generici, con particolare riferimento all’informatica, chiedendo consulenze a società esterne, anche su attività già svolte da personale interno: proprio l’informatica è uno dei settori dove programmare assunzioni. 6
Leggendo le tabelle ufficiali dei costi delle locazioni, si evince che – nonostante i notevoli sforzi, l’Istat nel 2018 continuava a spendere 5 milioni e mezzo in affitti in un anno, contro i 6 milioni e 600mila del 2014.
L’obiettivo di dimezzare la spesa, previsto dalla legge, è quindi lontano dal compiersi, anche considerando che con l’abbandono definitivo della sede di viale Oceano Pacifico nel 2019 la spesa dovrebbe essere scesa sotto i 5 milioni.
Nelle interlocuzioni con l’amministrazione, vengono inoltre spesso mischiate (consapevolmente?) spese di natura diversa.
Leggendo i piani dell’amministrazione sembrerebbe che l’Istat abbia già risparmiato, rispetto al triennio precedente, circa 900 mila euro all’anno in spese accessorie. Facciamo notare che la lunga fase degli spostamenti post modernizzazione, che sono stati oltre 5mila e hanno riguardato oltre mille dipendenti, ha avuto un costo mai quantificato (nonostante fossero stati promessi degli incentivi alla mobilità), sia in termini concreti, sia per le implicazioni sulle attività, sia soprattutto per il disagio creato ai dipendenti coinvolti.
La FLC CGIL chiede che l’Istituto mantenga e anzi ampli la sua presenza nel polo centrale, programmando quindi la ricerca di una sede sostitutiva di quella di via Depretis 77, o un nuovo contratto con l’attuale proprietà.
Il personale che ad oggi verrà spostato in via temporanea – nel periodo di attesa del reperimento di una sede adeguata o della fine dei lavori in quella attuale – deve essere tutelato con tutti gli strumenti previsti dalle norme e dal CCNL. Va quindi prevista una mobilità volontaria temporanea, rinunciando all’unitarietà dei servizi. Laddove utile, vanno incrementati i numeri del telelavoro, anche prevedendo progetti brevi ad hoc, va sperimentato il lavoro agile e previsti spazi condivisi in tutte le sedi.
Riteniamo che le locazioni vadano pianificate in rapporto all’andamento del personale, legando quindi decisioni importanti alla definizione del piano assunzionale e dei fabbisogni, nonché all’organizzazione che l’Istituto si vuole dare nei prossimi mesi ed anni.
Dai nuovi vertici dell’Istituto ci aspettiamo inoltre una vera analisi costi-benefici sulla sede unica, e sulla sua collocazione, ai fini di iniziare una vera interlocuzione con le OOSS. Dai dati ad oggi a disposizione, rimaniamo dubbiosi sulla adeguatezza e funzionalità di tale progetto.
Crediamo sia una priorità dare risorse e poteri al mobility manager, che si occupi della mobilità volontaria del personale, che vengano stabilite regole chiare e tempi di trasferimento certi.
Va tirato fuori dai cassetti dell’amministrazione l’accordo per distribuire gli incentivi legati ai trasferimenti, che deve riguardare tutti i lavoratori trasferiti e quelli che lo saranno, compresi quelli delle sedi territoriali.
Il Consiglio dovrebbe ribadire la scelta già fatta di acquisire della “sala delle colonne” a piazza Marconi, resa più urgente dai lavori previsti per l’aula magna di via Balbo.