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ISTAT: si insedia il presidente Blangiardo

La FLC CGIL scrive ed elenca le priorità dell'ente su organizzazione e contrattazione

21/02/2019
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Oggi, giovedì 21 febbraio 2019, si è insediato - dopo un lungo iter - il nuovo presidente dell'Istituto Nazionale di Statistica, il professor Gian Carlo Blangiardo.

La FLC CGIL ha immediatamente inviato una lettera che - ribadendo le ragioni della propria contrarietà alla nomina - elenca i problemi e le proposte del sindacato per rilanciare l'Istituto e valorizzare le lavoratrici e i lavoratori, dando disponibilità a un primo incontro.

Riportiamo di seguito i contenuti della lettera.

Premessa

Come noto, la FLC CGIL ha manifestato negli scorsi mesi una netta contrarietà rispetto alla nomina del professor Blangiardo e – nelle sue varie articolazioni, insieme a larga parte delle altre rappresentanze del personale dell’Istat – ha criticato il percorso che il governo ha attuato per la scelta, evidenziando anche come il suo orientamento di parte costituisse un problema rispetto al ruolo di presidente di un’istituzione di garanzia come è l’Istituto Nazionale di Statistica.

Sperando che le nostre preoccupazioni risultino infondate, annunciamo in ogni caso che manterremo altissima l’attenzione sulle scelte che il nuovo presidente farà per l’Ente, sia nelle linee di ricerca, sia nei confronti dell’organizzazione e la gestione del personale.

Aspetti organizzativi

L’organizzazione dell’Istat ha subìto, ad ogni cambio di presidente, una mutazione nell’assetto. Si è passati dal dipartimento unico ai tanti dipartimenti, per finire con un dipartimento di produzione affiancato da un dipartimento “trasversale”, che contiene 5 direzioni di “supporto” alla produzione e che si affianca alla direzione generale.

Nel 2014 proponevamo all’allora presidente Alleva una riorganizzazione basata su un taglio consistente delle posizioni dirigenziali, eliminando almeno un livello gerarchico, nonché di utilizzare l’occasione del passaggio al censimento permanente per rilanciare l’Istituto. La nostra proposta era quella di basare una riorganizzazione sulla dematerializzazione e la sburocratizzazione e sulla trasparenza nei criteri di nomina dei dirigenti.

È stata invece scelta un’altra direzione, impostando la riorganizzazione su un radicale cambiamento dei processi, adottando, spesso solo a parole, un modello a matrice e una razionalizzazione finalizzata all’eliminazione delle duplicazioni.

Questo modello ha manifestato fin da subito una serie di sofferenze: del resto, il passaggio ad un utilizzo massiccio di fonti amministrative necessita, almeno all’inizio, di un grande investimento in competenze, formazione, infrastrutture informatiche, che l’Istituto non sembra avere programmato, avendo come obiettivo principale della sua “modernizzazione” il mero risparmio.

Nel 2017 la FLC CGIL ha predisposto un questionario, al quale ha risposto una buona parte del personale, che contiene moltissimi spunti per correggere il tiro e tornare indietro laddove necessario.

Riteniamo che dopo alcuni anni di “sperimentazione” dell’attuale organizzazione ci siano diversi elementi che ci danno ragione: alcune strutture in particolare hanno manifestato una maggiore sofferenza all’interno del nuovo assetto. Ripartire da queste criticità per una correzione organizzativa ci sembra indispensabile.

  1. La raccolta dati, vera scommessa del nuovo disegno organizzativo, ha tuttora ampi settori con sovrapposizioni di ruoli, “competizione” interna e con le strutture di produzione, eccessiva burocratizzazione e frammentazione dei processi, e soprattutto sovraccarichi e concentrazioni di lavoro su pochi dipendenti;
  2. l’informatica manca di una funzione chiara all’interno dei processi di produzione, rischiando così di svolgere un ruolo semplicemente esecutivo, ultimo anello di un’infinita catena gerarchica, mentre è di tutta evidenza che nelle attuali modalità di produzione dei dati il ruolo dell’informatica è cruciale nella definizione delle  tecnologie di raccolta, analisi e correzione dei dati. Si ricorre invece sempre di più a consulenze ridondanti e – sembrerebbe – volte solamente a impiegare fondi, svilendo le preziose competenze presenti in Istituto;
  3. gli uffici territoriali stanno perdendo quell’importante e insostituibile ruolo di raccordo con le istituzioni periferiche dello Stato e con il mondo universitario, e di punto di riferimento dell’Istituto sul territorio (cittadini, imprese, scuole…). Il taglio di figure dirigenziali degli scorsi anni è stato attuato senza una vera ragione, se non quella di evitare il taglio di dirigenti nelle direzioni centrali, stravolgendo tre volte in cinque anni l’organizzazione degli uffici con “geometrie variabili” difficilmente comprensibili. Viceversa, rimangono irrisolte – e anche accentuate – tutte le problematiche delle sedi periferiche dell’Istituto, in termini di mancanza di progettualità complessiva, di assenza di coordinamento e di ridimensionamento dell’“autorevolezza” nei confronti delle altre istituzioni. Persino le poche indicazioni positivecall e concorsi, formazione – contenute nel documento prodotto dal Dipartimento DIRM nel dicembre del 2017 hanno trovato pochissima applicazione concreta.

È appena il caso di sottolineare che la gravità di questi problemi organizzativi, che impattano direttamente non solo sul benessere dei lavoratori, ma anche e soprattutto sulla qualità dei lavori e dei prodotti dell’Istituto, in alcuni casi si è manifestata in maniera eclatante, mettendo a rischio progetti strategici e vitali per l’Istituto, quali ad esempio il Censimento permanente.

L’indipendenza e l’autonomia dell’Istat

Ai sensi del Dlgs. 218/2016 l’Istat si è dotato di uno Statuto e dei regolamenti (di organizzazione, contabilità e del personale).

La stesura di questi importanti documenti ha visto un confronto minimo con le rappresentanze sindacali e un oscuro iter successivo di interlocuzione con i ministeri vigilanti.

Sulla norma dello Statuto che prevede l’introduzione del Consiglio scientifico elettivo e su quella che introduce l’elezione di un membro del Consiglio dell’Istat è stato necessario un ricorso collettivo, da parte di tutte le organizzazioni sindacali rappresentative, volto ad ottenere il pieno riconoscimento di quanto stabilito dalla legge e dal CCNL, ovvero l’effettiva presenza di membri elettivi negli organi decisionali, e non meramente consultivi, dell’Ente.

Su questo ci aspettiamo che la nuova Presidenza cambi atteggiamento.

I regolamenti che pure ci risultano approvati non sono mai stati effettivamente pubblicati e resi attuativi, contribuendo a paralizzare la definizione di regole importanti, sulla mobilità volontaria del personale, sulle missioni, gli incarichi e le nomine, la cooperazione internazionale, le docenze, le aspettative, ecc.

La mancanza di regole certe in tanti ambiti dà continuamente adito a interpretazioni diverse, soprusi piccoli e grandi, lungaggini burocratiche, diritti sostituiti da favori, potere discrezionale da parte di figure non riconosciute, contenziosi, trasparenza ridotta a zero, frequenti richieste interne di accesso agli atti e ricorso sempre più esteso al consigliere di fiducia.

Facciamo riferimento ad esempio alla questione delle missioni. Risale al 23 febbraio 2016 l’ultima bozza di regolamento sull’argomento che l’Istat ha presentato a un tavolo di contrattazione sindacale. Nonostante l’amministrazione abbia ricevuto e parzialmente recepito all’epoca le osservazioni delle organizzazioni sindacali, il regolamento non è mai stato portato a termine, con la scusa dell’attesa del nuovo regolamento di organizzazione. Nel frattempo i lavoratori continuano ad andare in missione senza regole e tempi certi per i rimborsi di quanto anticipato.

Altro argomento fondamentale è quello della mobilità volontaria, ad oggi legata, nonostante alcuni passi avanti, a un iter opaco, che lascia in molte occasioni i dipendenti “ostaggio” dei propri dirigenti.

Reclutamento e valorizzazione professionale

Molto è stato fatto negli scorsi anni per sanare alcune “pendenze” passate, innanzitutto stabilizzando il personale precario e in secondo luogo grazie a un utilizzo esteso delle graduatorie concorsuali esistenti al II e al III livello.

Va assolutamente confermato l’orientamento espresso dal presidente Alleva rispetto alla scelta di un Istituto di Statistica senza precari. Il passaggio al censimento permanente rende infatti definitivamente e indiscutibilmente inutile il reclutamento a termine. Riteniamo inoltre fallimentare l’esperienza di introdurre all’Istat gli assegni di ricerca e crediamo non debba quindi ripetersi, salvaguardando la professionalità acquisita da chi ha partecipato ai progetti specifici degli scorsi anni.

Va inoltre portata avanti l’idea, solo accennata e mai discussa con le organizzazioni sindacali, di internalizzare alcuni servizi, a cominciare dalla raccolta dati effettuata dai rilevatori. Su questo la FLC CGIL, che tuttora supporta un contenzioso legale, è disponibile ad aprire un confronto concreto con l’amministrazione.

L’Istituto avrebbe dovuto avviare una fase nuova nel 2018, che è partita purtroppo con il piede sbagliato. È stato infatti avviato, nel corso dell’estate del 2018, a pochi giorni dalla scadenza del mandato Alleva e quindi con un tempismo quantomeno “inusuale”, un nuovo piano di concorsi, in applicazione del Piano di fabbisogno 2018-2020. Il piano e i bandi di concorsi sono stati contestati duramente dal personale, che – supportato dalle organizzazioni sindacali – ha intrapreso un contenzioso volto ad annullare quei bandi di concorso, evidentemente orientati ad assumere profili troppo specifici.

La richiesta della FLC CGIL è quindi quella di rivedere il Piano di fabbisogno, annullare i concorsi banditi e ragionare sulle reali necessità dell’Istituto, facendole convergere con le legittime aspettative di carriera del personale.

Vanno previsti ingressi consistenti dall’esterno per compensare i pensionamenti già avvenuti. Nell’ultimo triennio sono andati in pensione quasi 150 colleghi, a fronte di poco più di 20 nuovi ingressi. Le cessazioni sono certamente in aumento nei prossimi anni, anche viste le recenti modifiche legislative (Quota 100). Gli ingressi dall’esterno tramite concorsi pubblici devono avvenire solo ai livelli di base, in particolare al III livello (ricercatore e tecnologo) e al VI livello (collaboratore tecnico).

Occorre quindi bandire concorsi interni per le progressioni di livello all’interno dei profili di ricercatore e tecnologo, come stabilito dall’art. 15 del CCNL 2002-2005 e come sentenziato dalla Cassazione nel 2018, previo scorrimento definitivo delle graduatorie esistenti. Va inoltre immediatamente applicato e reso costante nel tempo l’istituto degli anticipi di fascia, il cui accordo è in via di ratifica definitiva da parte degli organi  vigilanti, dopo un percorso lunghissimo e tortuoso.

Nonostante la firma del CCNL 2016-2018 del comparto Istruzione e Ricerca e dopo numerosi anni di blocco totale di salari e carriere, sono molti i nodi rimasti irrisolti, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo professionale e la valorizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici inquadrati nel livello base dei profili tecnico-amministrativi. Vanno in ogni caso rilanciati gli strumenti contrattuali esistenti (art. 53, 54, 42, 52) impiegando tutte le risorse a disposizione, attraverso la contrattazione integrativa, anche valutando gli scorrimenti delle graduatorie esistenti.

Crediamo inoltre sia necessario un intervento diretto dell’Istat all’interno della Conferenza degli enti di ricerca e con le controparti ministeriali, anche al fine di consentire un pieno utilizzo delle possibilità previste dal Dlgs. 218/2016 per incrementare le risorse per la valorizzazione professionale con fondi di bilancio, nel rispetto dei limiti ivi indicati.

Va utilizzato appieno quanto previsto dal Dlgs. 75/2017, art. 22 comma 15, che consente, per il triennio 2018-2020, concorsi interni riservati ai profili inferiori. Questo è necessario sia al III livello, sia per quanto concerne i profili di funzionario di amministrazione e collaboratore tecnico e amministrativo, per consentire una valorizzazione dei profili più bassi, dove peraltro sono inquadrati numerosi colleghi con titolo di studio più elevato rispetto a quello richiesto dalla legge per l’ammissione al concorso. Particolare attenzione va data ai colleghi assunti nei profili di operatore e collaboratore di amministrazione come appartenenti alle categorie protette, beffati dal concorso bandito dall’Istat a dicembre, riservato ai disabili non già inquadrati all’Istat. Un pieno utilizzo della normativa potrebbe rispondere, seppure parzialmente, all’enorme problema di sottoinquadramento all’interno dell’Istituto.

Per le assunzioni al VI livello, le graduatorie degli ultimi concorsi hanno ancora un ampio margine di utilizzo e l’Istituto si è impegnato a scorrerle. Va quindi deciso un impiego immediato, anche in conseguenza delle nuove norme introdotte dalla manovra di bilancio 2019.

Molti dei lavoratori di ruolo dell’Istat hanno avuto, nel loro percorso lavorativo, contratti a tempo determinato con l’Istituto. La normativa europea e quella nazionale, la giurisprudenza e da ultimo il CCNL di comparto hanno consolidato il principio dell’uguaglianza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato.

È arrivato il momento, quindi, di chiudere definitivamente questa partita, riconoscendo ai lavoratori tutti i diritti acquisiti attraverso l’anzianità di servizio e interrompendo il contenzioso, che ha portato ad un esborso assolutamente evitabile da parte dell’Istituto.

La FLC CGIL chiede che la proposta transattiva presentata dall’amministrazione al tavolo di novembre 2018 accolga le richieste avanzate in sede di contrattazione, coprendo i diritti della totalità dei lavoratori, incluso il riconoscimento dei giorni di ferie non contabilizzati al momento dell’assunzione a tempo indeterminato.

Contrattazione integrativa

Per quanto concerne il fondo del salario accessorio e quello per i benefici assistenziali, i tentativi degli ultimi anni per “tenere il passo” si sono rivelati insufficienti e si continua ad accumulare un ritardo inaccettabile, che si somma a quello derivato dagli interventi esogeni di revisori dei conti e ministeri vigilanti, che hanno spesso contribuito a bloccare l’applicazione degli accordi raggiunti.

La richiesta della FLC CGIL è di dare un segnale generale, incrementando le indennità di ente mensile a tutti i lavoratori dei livelli IV-VIII e dando continuità alle progressioni di livello ed economiche, nonché di realizzare finalmente e pienamente gli strumenti di incremento dei fondi con risorse variabili sui quali è stata tracciata la strada, senza compiere il lavoro. Ci riferiamo in particolare alla regolamentazione del conto terzi e ai piani di razionalizzazione della spesa, istituti i cui contorni sono ancora nebulosi e incerti, nonostante gli impegni presi dall’amministrazione.

Le risorse per il personale potrebbero essere incrementate, ad esempio, promuovendo un progetto di riorganizzazione orientato a tagliare posizioni dirigenziali, innovare processi e reinternalizzare servizi in appalto.

Va costituito il fondo del salario accessorio dei livelli I-III, indietro di 2 anni, ipotizzando anche la firma di due annualità in un unico accordo, al fine di recuperare il tempo perduto.

Orario di lavoro

All’interno della contrattazione integrativa, un ruolo fondamentale può essere rappresentato da alcuni necessari cambiamenti all’attuale regolamentazione dell’orario di lavoro, fermo da 10 anni, in favore di una maggiore flessibilità e delle diverse opportunità di lavoro agile, sempre più diffuse nei luoghi di lavoro, pubblici e privati.

Negli scorsi mesi il direttore generale e la direzione del personale hanno affrontato la questione, proponendo sostanzialmente di cancellare tutte le norme migliorative introdotte con l’accordo sindacale del 2008 e di attenersi pedissequamente al “minimo sindacale” previsto dal CCNL.

Tutte le organizzazioni sindacali – con l’appoggio del personale – hanno rifiutato questo tentativo, ma il tema è ancora sul tavolo. Crediamo che, se si vuole superare la logica del lavoro gerarchizzato e basato sul controllo e il comando, come già è in larga parte nell’attività quotidiana dell’Istituto e come è proprio di un ente di ricerca, occorre invece cominciare speditamente a sperimentare le modalità di lavoro agile – a distanza, in sedi diverse, con orari autodeterminati – che la norma e il contratto prevedono, oltre ad incrementare i posti a disposizione per il telelavoro a domicilio.

Riteniamo che un orario di lavoro flessibile non debba prevedere fasce obbligatorie di presenza, ma solamente il rispetto del monte ore mensile, gestibile con le attuali regole di crediti, debiti e recuperi, con una maggiore uguaglianza tra i lavoratori dei livelli I-III e IV-VIII.

L’Istituto ha già tutti gli strumenti per controllare il personale, avendo introdotto più di 10 anni fa i “tornelli”. Non esistono privilegi speciali per i lavoratori dell’Istat e anzi unilateralmente sono stati tolti dal primo gennaio 2019 i discussi “permessi banca”, recuperando alle “ore lavorate” circa 60mila ore all’anno, senza offrire nessuna contropartita in termini di flessibilità oraria del personale.

Le regole flessibili sull’orario di lavoro non hanno solo una rispondenza con il modo di produrre dell’Istituto, ma consentono anche ai dipendenti una migliore conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita, di mantenere un sano rapporto con la propria famiglia, non solo nei casi più problematici, ovvero in presenza di parenti malati o figli molto piccoli.

Benessere del personale e sedi

La cosiddetta razionalizzazione delle sedi romane ha comportato un netto peggioramento delle condizioni di lavoro per molti colleghi, considerando le difficoltà di spostamento nella Capitale.

Almeno metà del personale, in conseguenza delle scelte organizzative dell’Istituto degli scorsi anni, ha cambiato sede di lavoro, in alcuni casi anche più volte in un lasso di tempo ristretto. Sia la sede di viale Liegi che quelle di via Depretis (74 e 77) necessitano di lavori di adeguamento da molti anni, che costringeranno i lavoratori a spostamenti ulteriori. La nuova sede di piazza Marconi è palesemente inadeguata e del tutto inadatta ad ospitare oltre 200 lavoratrici e lavoratori, che a differenza degli altri colleghi delle sedi romane sono privi persino di un bar e di uno spazio adeguato per consumare i pasti.

Il ricorso agli strumenti di lavoro agile e il potenziamento del telelavoro potrebbero supplire a questa criticità, adottando anche pratiche organizzative mirate alla ottimizzazione degli spazi, che consentirebbero, grazie ad esempio al desk sharing, di recuperare postazioni di lavoro coniugando risparmio economico e benessere dei lavoratori. Chiediamo che lei smentisca l’irragionevole “dogma” che negli scorsi anni era diventato assoluto, ovvero quello dell’“unitarietà dei Servizi”, che ha costretto spesso il personale a scegliere tra il lavoro in una sede vicino casa per tutelare la propria vita familiare e l’assegnazione alla struttura più adeguata alle proprie competenze.

Contemporaneamente, il presidente Alleva aveva rilanciato il progetto della sede unica nel terreno in zona Pietralata (periferia Est di Roma). Un progetto legato al vecchio SDO (Sistema Direzionale Orientale, adottato con il piano regolatore del 1962) abbandonato nei decenni da tutti tranne l’Istat, che ha quindi riavviato il complicato e lungo processo di progettazione dell’opera, accedendo a un finanziamento da parte dell’Inail. Su questo progetto è mancata qualsiasi interlocuzione con le organizzazioni sindacali. Nella cosiddetta “analisi costi/benefici” effettuata dall’Istat non sono stati considerati i disagi del personale delle sedi romane e al contempo ci sembra che siano stati sopravvalutati i vantaggi economici e produttivi.

L’Istat, su proposta della FLC CGIL, aveva individuato un fondo per “compensare” il disagio dei trasferimenti, che è anch’esso rimasto sulla carta: non è chiaro per quale motivo.

Le strutture territoriali dovranno essere dotate di un fondo specifico (e congruo rispetto agli interventi da realizzare) per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro. Senza queste risorse il datore di lavoro territoriale non è veramente tale: non avendo poteri di spesa, vengono meno anche quelli decisionali.

Relazioni sindacali

Il vero nodo che secondo noi ha reso molto problematici gli ultimi anni di attività dell’Istituto è il deterioramento delle relazioni sindacali. A causa di un esibito disinteresse del presidente Alleva e di un protagonismo competitivo, al contrario, del direttore generale, delegato ad affrontare tutte le questioni di interesse del personale, si è arrivati più volte a momenti di scontro inaccettabili, con il risultato inevitabile di determinare una tensione continua fra il personale e la dirigenza.

Per questo ci aspettiamo che il presidente Blangiardo si occupi di tutti i temi che hanno un impatto sul personale, sia direttamente che attraverso il suo delegato che, come prevede il CCNL, presieda la delegazione dell’amministrazione portando ai tavoli proposte concrete e cercando quindi un confronto serio, volto a trovare soluzioni condivise con le rappresentanze del personale.

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