Finalmente sono stati pubblicati martedì 25 maggio, a dodici anni dall’ultima applicazione, i bandi per le progressioni interne (articolo 15) nei livelli I-III.
Anche in questo caso, come per l’articolo 22, saranno necessarie spiegazioni e chiarimenti alle tante domande che stanno già arrivando alla FLC CGIL e alle quali solo in parte siamo in grado di rispondere.
Partiamo da un’analisi dei 4 bandi, rispetto alle ultime interlocuzioni avute con l’amministrazione sull’argomento.
Il numero di posti è effettivamente stato incrementato, rispetto alle prime bozze, come deciso con l’aggiornamento del piano di fabbisogno di fine gennaio, ed è stata aggiunta una postilla che prevede il possibile ampliamento dei posti se la spesa dovesse essere più contenuta rispetto allo stanziamento.
I requisiti sono quelli previsti dal CCNL e dal DPR 171/91, che come noto distingue tra ricercatori (per i quali non è previsto un requisito di anzianità minima) e tecnologi (per i quali sono necessari dei periodi di anzianità di 8 anni al II livello e 12 anni al I). Ovviamente quindi si potrà fare domanda solo all’interno del profilo di appartenenza: è una progressione interna e non un concorso pubblico.
Il punteggio per l’anzianità è rimasto invariato e uguale per tutti e 4 i concorsi (10 punti ma con diverse articolazioni nei diversi bandi, dovuta proprio al requisito di anzianità, che fa sì che nei bandi da primo tecnologo e dirigente tecnologo il punteggio parta dall’anzianità minima), nonostante la richiesta di aumentarlo.
Per quanto riguarda i bandi per il passaggio dal II al I livello il punteggio riguarda l’intero periodo di “anzianità” maturato nel “profilo di ricercatore o tecnologo”: dicitura ambigua che sembrerebbe tenere in conto tutta la carriera (al III e II livello), ma che andrebbe sicuramente chiarita.
Ricordiamo infatti che l’art. 15 del CCNL 2002/2005, pur integrando i profili di “ricercatore” e “tecnologo”, lascia comunque la denominazione dei tre “livelli” dei vecchi profili (ricercatore, primo ricercatore e dirigente di ricerca; tecnologo, primo tecnologo e dirigente tecnologo). Va quindi chiarito quale periodo verrà effettivamente considerato.
I punteggi dei titoli differiscono tra un concorso e l’altro, soprattutto per i lavori e le pubblicazioni (più rilevanti per i passaggi da ricercatore) e per il giudizio complessivo (più alto per i passaggi da tecnologo). La maggiore omogeneità che chiedevamo tra i diversi concorsi, anche in ragione della sostanziale analogia di carriere per molti ricercatori e tecnologi in Istituto, non è stata assicurata e il punteggio attribuito per le pubblicazioni è decisamente troppo basso per un ente di ricerca, soprattutto per il profilo del Primo tecnologo.
Sulla produzione scientifica avevamo poi chiesto di non vincolare eccessivamente il punteggio alla differenza tra lavori e pubblicazioni (anche mettendo insieme le due categorie) mentre rispetto alle bozze che abbiamo discusso in tutti i bandi è stato aumentato il peso dei lavori a discapito delle pubblicazioni ufficiali, con la conseguenza che una parte dei colleghi si troveranno a sacrificare pubblicazioni importanti alla ricerca di non meglio definiti lavori.
Va comunque chiarito bene che cosa si intenda per “lavori” e come si fa a certificarne l’ufficialità: chiediamo all’amministrazione di produrre esemplificazioni chiare di cosa può essere considerato un lavoro per evitare discrezionalità di giudizio della commissione.
Rispetto ai bandi del passato è stato previsto (come per i bandi art. 22) che tutti i titoli valgano alla data di pubblicazione del bando e non, come nel caso dei concorsi pubblici, alla data di chiusura delle domande. Si tratta di una scelta problematica: se da un lato è comprensibile che si voglia evitare la corsa alla certificazione dei titoli interni, questa regola non si dovrebbe applicare invece a titoli esterni (come ad esempio le pubblicazioni), indipendenti dalla alacre attività di alcuni dirigenti in queste occasioni.
Inoltre, avere limitato la possibilità di presentare titoli e lavori (i punti b e c del bando) al fatto di essere stati “prodotti nel profilo di ricercatore e/o tecnologo”, escludendo di fatto tutto quanto sia riferibile a un periodo di lavoro in un diverso profilo o all’esterno dell’Istat non ci appare corretto, anche per l’iniquità che si creerebbe per le pubblicazioni con più autori, che possono essere presentate come titolo solo dagli autori ricercatori/tecnologi e non dai coautori (all’epoca) tecnici/amministrativi. La produzione di ricercatori e tecnologi è riferita a tutta la loro carriera scientifica indipendentemente dai percorsi spesso accidentati di carriera caratterizzati da precariato e sottoinquadramento.
Peraltro, mentre nel caso del passaggio dal II al I livello la dicitura implica giustamente la possibilità di utilizzare tutti i titoli riferiti anche al livello precedente, non si capisce perché invece nel passaggio dal III al II non dovrebbe essere possibile produrre titoli professionali e/o lavori e pubblicazioni relativi a un eventuale periodo antecedente, in cui si ricopriva un ruolo diverso (ad esempio Cter, dottorando, assegnista di ricerca, collaboratore in istituti di ricerca privati). Riteniamo che i criteri per valutare la scientificità di un prodotto siano insiti nella qualità dello stesso ed esulino dal ruolo ricoperto dall’autore nel momento della stesura.
Come al solito non è chiaro come si dovrà procedere alla selezione dei titoli, nonostante sia declinato chiaramente nel bando quali aspetti verranno valutati per l’attività professionale i candidati dovranno scegliere i 15 titoli da inserire che dovranno rappresentare la responsabilità di strutture, i progetti di ricerca, le task force e i gruppi di lavoro, la partecipazione a convegni e le attività di docenza. Non sarebbe sufficiente fare desumere queste attività dal curriculum, che invece secondo i bandi sarà utilizzato dalla commissione soltanto ai fini della valutazione del giudizio complessivo?
Il colloquio non è previsto solo per il passaggio da primo ricercatore a dirigente di ricerca (sempre per motivi legati all’ordinamento professionale fissato dal DPR 171/91), negli altri casi vale 30 punti.
Finalmente sono state pubblicate le FAQ riguardanti l’art. 22. La DCRU, seppure a denti stretti, nel documento ammette di aver dato risposte in alcuni casi sbagliate e in altri contraddittorie, e sostanzialmente – pur con una tortuosità lessicale degna del “sindacalese” di peggiore specie – viene incontro alle nostre proposte che come FLC abbiamo fatto fin dal giorno dell’uscita dei bandi (se non prima).
Per quanto riguarda gli “incarichi di lavoro/servizio” infatti varrà qualunque documentazione. In particolare è esplicitato che sono valide le attestazioni di servizio (pubblicate prima del 23 aprile 2021): cosa che ad alcuni dipendenti era stata negata fino a pochi giorni fa.
“L’Istituto dovrebbe precedere una modalità trasparente e agevole di aggiornamento dei propri titoli e pubblicazioni da parte del dipendente. Al tempo stesso devono essere date indicazioni chiare e univoche ai dirigenti per la certificazione delle attività, sia ordinarie sia straordinarie, così da non creare disparità in sede di valutazione”.
Questo era quello che scrivevamo nella nostra “piattaforma” rivendicativa a giugno 2018.
L’attestazione di incarichi e attività è da sempre uno dei buchi neri dell’Istat, che riemerge ogni qual volta c’è una procedura selettiva e/o concorsuale, specialmente se interna, destinata allo sviluppo professionale.
Crediamo che l’occasione dell’uscita dei bandi (art. 22 e art. 15) e la conseguente riproposizione dello storico problema della mancata omogeneità della “certificazione” dell’attività svolta all’interno dell’Istat debbano portare a una svolta di buon senso.
Invece di introdurre ogni 2/3 mesi un nuovo software che dovrebbe aiutare a gestire e monitorare le attività lavorative e che immancabilmente si aggiunge a quelli precedenti (creando solo maggiore confusione), basterebbe prevedere una procedura standard (con tutta la flessibilità necessaria): il dirigente certifica a inizio dell’anno le attività che saranno svolte dal dipendente (incarichi) e a fine anno certifica quello che è stato fatto (attestazione). Ogni anno, per tutti i dipendenti. Troppo facile? E allora perché non si fa?