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La modernizzazione dell'Istat è in ritardo, ma in compenso durerà anni

Il presidente incontra le organizzazioni sindacali

14/10/2015
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Si è svolto martedì 13 ottobre 2015, dieci mesi dopo il suo lancio, l’incontro del presidente dell'Istat con le organizzazioni sindacali sul progetto di modernizzazione.

Il presidente ha illustrato con le slide obiettivi, vantaggi, rischi ed opportunità del progetto, sottolineando che il progetto stesso deriva direttamente dal “programma” con cui si è candidato un anno e mezzo fa alla presidenza dell’Istituto di statistica. Molte le frasi ad effetto: “siamo stati molto attenti alla condivisione”, “sarà un nuovo modo di lavorare, non un nuovo organigramma”, “è un disegno top-down”, “sarà un big bang”, “è un percorso da cui non si torna indietro”.

Secondo Alleva la modernizzazione è motivata dall’evoluzione della domanda di informazione statistica, dalle opportunità fornite da nuove tecnologie e nuove fonti di dati, dai rischi per la presenza di nuovi competitor sul mercato della produzione di dati statistici, e la progressiva crisi delle indagini “tradizionali”. Inoltre, la modernizzazione consentirà, secondo il presidente, di superare la frammentazione, riducendo le disfunzioni dovute all’organizzazione attuale, portando l’Istituto a “lavorare per il  prodotto”, e garantendo una pianificazione migliore, sostenuta da un sistema di valutazione e monitoraggio dei nuovi progetti. Obiettivi centrali: creare un sistema di registri (che diventano un “bene pubblico”),  centralizzare i “servizi” (raccolta dati, tecnologie, metodi, diffusione e comunicazione), rafforzare la governance, investire fortemente nel capitale umano. L’investimento nel capitale umano si concentrerà su tre aspetti: il focus sulle competenze esistenti, lo sviluppo di nuove competenze e la ricognizione delle competenze da sviluppare, attraverso una pianificazione della crescita professionale. Tra gli aspetti di cambiamento che riguarderanno più direttamente il personale, il presidente ha prospettato poi maggiori opportunità di mobilità e un forte investimento nella formazione professionale.

Il progetto di modernizzazione, sempre secondo il presidente, è già partito ma durerà molto tempo, tanto da prevedere una fase di transizione lunga “alcuni anni”, con un modello organizzativo perpetuamente in divenire, ovvero “a tendere”. Tra le azioni già messe in campo, sono state citate “alcune azioni concrete per la realizzazione della sede unica nell’area di Pietralata”. Anche a causa della lunga fase di transizione, i risparmi realizzati grazie all’utilizzo intensivo di archivi consentiranno sì di liberare “risorse per la ricerca”, le quali però non saranno probabilmente disponibili nel 2016.

La FLC CGIL ha innanzitutto chiesto un chiarimento sulle modalità e sui tempi del progetto, anche considerando la perdurante mancanza dei consiglieri dell’Istituto. L’iter appare infatti composto da diversi passaggi, anche dal punto di vista formale: riordino (ovvero cambiamento legislativo), riorganizzazione (cioè cambiamento interno delle strutture) e cambiamento del modello produttivo, che a detta del presidente sarebbe indipendente dalla vera e propria riorganizzazione. Il tutto all’interno anche di un piano di riallocazione delle sedi sul territorio. L’attuale fase di stallo – dovuto appunto alla mancata nomina dei consiglieri da parte del governo – sta provocando una grande incertezza nel personale, e non è chiaro peraltro come potranno essere prorogati i dirigenti in scadenza a fine anno.

La FLC CGIL si aspettava, e continua a pensare, che la modernizzazione debba e possa essere l’occasione per rimediare ai danni provocati dal recente riordino del 2010-2011, caratterizzato da un aumento delle figure dirigenziali, da una centralizzazione eccessiva dei poteri di nomina sul presidente, e dallo svilimento degli uffici territoriali. Abbiamo quindi evidenziato le criticità che trapelano dal progetto, che – riferendosi a un’”industrializzazione” dei processi, con una netta distinzione tra “produttori” e “analisti”,  rischia di ridurre ulteriormente i margini di autonomia professionale dei lavoratori dell’Istat.

L’ispirazione alle “migliori pratiche” degli istituti di statistica nel resto del mondo è utile, ma abbiamo ricordato che l’Istat è un ente di ricerca, con peculiarità e diritti per i suoi lavoratori che sono un valore da salvaguardare e rafforzare. E’ preoccupante che all’interno del progetto di modernizzazione non si parli da nessuna parte delle parti del nostro contratto ancora da attuare e non ci sia nessun riferimento alla carta europea del ricercatore.

A livello organizzativo inoltre non è ancora chiaro da quanti livelli gerarchici sarà composta la nuova struttura, e nella presentazione del presidente è stata stigmatizzata la frammentazione delle unità operative, nonché la scarsa funzionalità dei servizi, ma nulla è stato detto sui dipartimenti e sulle direzioni.

Abbiamo chiesto perciò di garantire la trasparenza sulle nomine, sull’assegnazione del personale alle nuove strutture, sulla valutazione e il monitoraggio dei progetti. Inoltre, abbiamo ricordato il nostro ultimo comunicato sulla sburocratizzazione, che invita a fare della modernizzazione l’occasione per rendere efficienti i nostri servizi amministrativi.

Sul ruolo degli uffici territoriali, ancora una volta abbiamo registrato un’assenza nel progetto di modernizzazione, come peraltro venuto fuori anche nel rapporto finale della Peer Review. Il loro ruolo andrebbe invece finalmente rilanciato, prendendo esempio dalle migliori pratiche adottate in questi anni rispetto alla collaborazione con altri enti del Sistan.

Abbiamo quindi fatto presente che la riorganizzazione, se tale vuole essere, deve partire dalla motivazione del personale dell’Istat e dalle sue attuali principali sofferenze, che come noto sono quelle del prolungato blocco di carriere e salari (specialmente del personale di livello IV-VIII) e del personale con contratto a tempo determinato. Abbiamo fatto notare inoltre che il progetto del “censimento permanente” è tuttora piuttosto oscuro agli stessi lavoratori del dipartimento.

Nella sua replica, su entrambi i fronti il presidente ha ripetuto i consueti buoni propositi, sostenendo che sulle progressioni “pensava di fare di più”, ed ha formulato generici inviti ai dirigenti che dovranno imparare a motivare il personale. Il presidente ha poi spiegato che la ricerca farà parte dell’“abito delle persone che lavorano all’Istat” e che sarà insita in tutti i processi, anche se le linee di ricerca strategiche saranno decise dal board. Inoltre sia “produttori” che “analisti” saranno coinvolti in attività di ricerca, e al contempo sarà favorita una rotazione che consenta a tutti di essere “analisti” di tanto in tanto. La parola “industrializzazione” non deve quindi essere intesa in senso ottocentesco, ma costituirà la garanzia della coerenza e della qualità dei processi.

Sulla nuova struttura organizzativa il presidente non ha voluto rispondere, sostenendo che solo lui ha in mente i dettagli e che non li vuole rivelare prima dell’insediamento del Consiglio; ha detto chiaramente però che ci saranno due grandi poli (“produzione” e “servizi”) e una riduzione complessiva del numero di  strutture.

L’iter prevede prima gli atti organizzativi che definiranno le nuove strutture, verosimilmente con una mobilità d’ufficio, e solo in seguito, quando i processi saranno “messi in sicurezza”, si avvierà un processo di mobilità “volontaria”, tutto da studiare. Riguardo alla mobilità Alleva ha sostenuto che non basta consentire la richiesta di mobilità, ma servono regole, procedure e tempi certi che la favoriscano effettivamente.

Sul Sistan, il presidente ha sostenuto che non esiste nessuno specifico progetto, perché tutto l’Istat è parte del Sistema statistico nazionale (ed il Sistan, come del resto la ricerca, “è dappertutto”); gli uffici territoriali quindi devono solo essere inseriti a pieno nel nuovo assetto dell’Istituto, con un ruolo particolare per la data collection.

Sui tempi, il presidente ha precisato che l’assenza del Consiglio non era prevista, ma che il ritardo ha consentito di studiare meglio il percorso di riorganizzazione e che alcuni passi sono stati già avviati. Non si può effettivamente procedere senza il Consiglio, ma il presidente confida nella nomina a breve.

Il board, che nei progetti del presidente è un organismo diverso dal Consiglio, e che avrà un ruolo centrale nel nuovo disegno organizzativo, sarebbe grossomodo coincidente con l’attuale Comitato di presidenza. Su questo punto crediamo sia fondamentale, e lo abbiamo sottolineato, che il ruolo di competenza scientifica e proposta e sulle linee di ricerca dell’Istituto sia in capo al personale, e quindi ad esempio alla Consulta dei ricercatori e tecnologi prevista dal nostro contratto nazionale. Nessuna risposta è giunta però dal presidente.

La FLC CGIL ha quindi replicato che molti aspetti non sono ancora chiari e che l'incertezza sta producendo ulteriore sfiducia all'interno del personale. Sulle questioni più specificamente contrattuali, e urgenti, si attendono risposte puntuali in incontri appositi da tenere a breve, a cominciare dall’applicazione dell’articolo 4 comma 3 del CCNL 2000-2001.

Una coda polemica ha caratterizzato l’intervento del direttore generale, che ha elencato per l’ennesima volta le attività che sarebbero state finalmente sbloccate dopo il suo insediamento, polemizzando con la FLC CGIL per l’ennesimo comunicato negativo, ovvero quello sull’avviso di ricerca di una nuova sede, chiarendo che non si tratta di quanto da noi supposto. Non è infatti la ricerca di una nuova sede per sostituire quella di via Torino, e nemmeno per accogliere il personale in eccesso proveniente da viale Oceano Pacifico, ma di una sede eventualmente in sostituzione di quella di via Depretis, il cui contratto di affitto era in scadenza. Il nostro comunicato era quindi in sostanza fin troppo ottimista, con buona pace del direttore generale che non ne condivideva “lo stile”, anche perché lo stesso direttore generale ha chiarito poi che l’amministrazione non intende cercare una sede alternativa nella zona Sud Ovest di Roma (che potrebbe rivelarsi meno costosa), ma sta ancora cercando una soluzione per portare al centro, e non a Tuscolana, i lavoratori di viale Oceano Pacifico.

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